Con il DPCM 10 aprile 2020 è stato istituito “un Comitato di esperti in materia economica e sociale (di seguito: Comitato) con il compito di elaborare e proporre al Presidente del Consiglio misure necessarie per fronteggiare l’emergenza epidemiologica COVID-19, nonché́ per la ripresa graduale nei diversi settori delle attività̀ sociali, economiche e produttive, anche attraverso l’individuazione di nuovi modelli organizzativi e relazionali, che tengano conto delle esigenze di contenimento e prevenzione dell’emergenza … Il Comitato è presieduto dal dottor Vittorio Colao”.
Oggi, a distanza di due mesi esatti dal provvedimento che lo istituisce, il Comitato presenta al Governo le sue “Iniziative per il rilancio Italia 2020-2022“, un piano di 121 pagine composto di 6 macro-aree (Imprese e Lavoro – Infrastrutture e Ambiente – Turismo, Arte e Cultura – Pubblica Amministrazione – Istituzione, Ricerca e Competenze – Individui e Famiglie) corrispondenti ai settori sociali, produttivi ed economici cardine del nostro Paese.
Tralasciando il fatto che la Task-Force di Colao non risulta aver adempiuto il compito principale della sua investitura, ovvero “elaborare e proporre al Presidente del Consiglio misure necessarie per fronteggiare l’emergenza epidemiologica COVID-19”, il piano ora presentato, anziché occuparsi della sola “ripresa graduale” del Paese interviene in ogni settore sociale, economico e produttivo con valutazioni (che a norma del DPCM 10 aprile dovrebbero integrare mere “proposte” al Presidente del Consiglio) che vanno ben al di là della competenza di una semplice “Task-Force”, addirittura sovrapponendosi a quella dei Ministeri.
Tali interventi, peraltro, sembrano individuare i “nuovi modelli organizzativi e relazionali” previsti dal DPCM, senza che gli stessi rispondano a mere “esigenze di contenimento e prevenzione dell’emergenza”.
Tra le macro-aree del piano particolare attenzione merita quella relativa a “Infrastrutture e Ambiente”, soprattutto in riferimento all’esigenza di “accelerare la realizzazione delle infrastrutture di telecomunicazioni” anche attraverso lo “sviluppo reti 5G”.
Infatti, come per tutti gli altri settori in cui il Comitato di Colao interviene con misure che non si limitano ad una “ripresa graduale”, ma investono prepotentemente settori produttivi, economici e sociali che costituiscono le fondamenta della nostra democrazia e, come tali, richiedono l’adozione di apposite delibere parlamentari, anche in tale ambito la Task-Force pretende addirittura di “adeguare i livelli di emissione elettromagnetica in Italia ai valori europei, oggi 3 volte più alti” ed “escludere opponibilità locale se protocolli nazionali sono rispettati”.
In un contesto in cui il piano non specifica sulla base di quali studi e/o teorie si assume che i limiti di emissioni elettromagnetiche “in vigore nella maggior parte degli altri paesi Europei” siano “radicalmente inferiori ai livelli di soglia di rischio”, l’attendibilità di tale valutazione è messa ancor più in discussione alla luce delle risultanze del recentissimo (Gennaio 2019) Comitato Scientifico sui Rischi Sanitari Ambientali ed Emergenti (SCHEER) della Comunità Europea (secondo cui “la mancanza di prove chiare per informare lo sviluppo delle linee guida sull’esposizione alla tecnologia 5G lascia aperta la possibilità di conseguenze biologiche indesiderate”) e degli studi dell’Istituto Ramazzini di Bologna e del National Toxicology Programme degli Stati Uniti del 2018 (che avevano già valutato le radiofrequenze prodotte da ripetitori e trasmettitori per la telefonia mobile, come “probabili cancerogeni”).
Ancor più incisivamente, poi, si suggerisce di “regolare con un regime ad hoc l’implementazione delle infrastrutture di interesse strategico, identificate come le reti di telecomunicazioni, … attraverso leggi/protocolli nazionali di realizzazione non opponibili da enti locali”.
La proposta assume connotati preoccupanti proponendosi di ignorare la volontà popolare manifestata dalle 340mila firme consegnate lo scorso maggio al Ministro della Salute Speranza per mano dell’Alleanza Italiana STOP 5G per richiedere una moratoria nazionale, e di annullare le delibere di oltre 500 comuni italiani che hanno sospeso questa sperimentazione in onore di un non negoziabile principio di precauzione.
Non pare si possa dubitare del fatto che la legge 215/2004, nel vietare ai titolari di cariche di governo di adottare atti in conflitto d’interessi, debba riferirsi anche ai loro consulenti quali, nella specie, sono i componenti del Comitato presieduto da Colao.
Alla luce di tale disposizione, quindi, è quanto meno dubbio che il dott. Colao, che per ben 10 anni, fino al 2018, ha rivestito la carica di CEO di Vodafone Group (ovvero una delle aziende multinazionali di telefonia più diffuse in Europa in generale e in Italia in particolare) possa suggerire misure atte a sottrarre alla determinazione degli Organi territoriali (che, per espresso dettato costituzionale, detengono in materia un potere legislativo, sebbene concorrente con quello statale) ogni valutazione sull’impatto delle reti 5G sulla salute dei cittadini.
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