Restituire certezze alle persone con disabilità, per andare oltre la crisi e tutelare i loro diritti: dal mantenimento all’assistenza sociale; dall’istruzione al sostegno scolastico. Dall’inizio di questa crisi vorremmo ascoltare parole simili dalla bocca di un esponente del nostro Governo. Ma un conforto ancora più grande verrebbe dal vedere questi principi messi in pratica, con misure che garantiscano realmente una delle fasce più deboli della popolazione.
In questi mesi abbiamo invece assistito a provvedimenti dalle tinte farsesche, come l’acquisto dei famigerati banchi mobili a rotelle (la cui reale utilità resta ancora un mistero), mentre si tessono da più parti le lodi della didattica a distanza o Dad, con l’inevitabile corollario delle ‘magnifiche sorti e progressive’ dell’era digitale.
In realtà, ben poco è stato fatto per venire incontro alle esigenze delle persone con disabilità. Per capire meglio cosa sta succedendo lontano dai riflettori dei media, abbiamo ascoltato chi vive in prima persona l’emergenza.
Anna sa bene cosa significa prendersi cura dei più svantaggiati. Oltre a seguire il figlio di nove anni, affetto da autismo, è referente di un’associazione di volontariato per l’assistenza di ragazzi con vari tipi di disabilità: “Il problema principale è l’organico insufficiente. Alcune insegnanti di sostegno non sono state assegnate, mentre altre sono utilizzate come supplenti. La colpa è principalmente del ministero dell’Istruzione che ha fatto grandissima confusione”.
Per gli studenti con disabilità – spiega Anna – la continuità di presenza dell’insegnante è importantissima, perché rappresenta un punto di riferimento imprescindibile: “I decreti che dispongono la continuità didattica ci sono, ma mancano i decreti attuativi. Il premier Conte ha detto che il governo c’è, ma è come se non ci fosse. Ogni bambino avrebbe bisogno di un piano educativo individualizzato. Con tutti gli ostacoli che dobbiamo superare, non riusciamo però a realizzarli”.
Secondo alcune stime, in occasione della riapertura delle scuole gli insegnanti di sostegno mancanti all’appello erano tra i 50 e i 75mila, mentre soltanto 1.600 nomine erano andate in porto contro le 21mila programmate. Ammontavano quindi a 19mila i posti di ruolo per il sostegno non assegnati e destinati a un supplente. Si tratta di un problema cronico del nostro sistema scolastico, che in questa fase si può considerare un’emergenza nell’emergenza. Come prevedibile, la chiusura dei mesi scorsi ha avuto infatti maggiori ripercussioni proprio sugli studenti disabili.
“In questo periodo molti ragazzi con handicap hanno messo in standby le abilità acquisite. Inoltre, ce ne sono alcuni che rientrando a scuola hanno sofferto molto il clima di ansia e confusione, per non parlare della mancanza del contatto fisico e del lavoro di gruppo o in coppia che per loro è molto importante”, racconta ancora Anna. Il risultato è che diversi disabili da lei seguiti non sono rientrati in aula e studiano in un forzato isolamento: “Una scuola è inclusiva se prevede un percorso di inserimento dei più svantaggiati all’interno della classe, insieme agli altri compagni, ma oggi c’è grande paura anche di questo”. Il lavoro di operatori e famiglie per l’inclusione dei giovani diversamente abili rischia così di essere riportato indietro di mesi o anni, riavvolgendo forzatamente il nastro di tante storie individuali, sfide superate e passi in avanti.
Con le ulteriori restrizioni delle ultime settimane, gli studenti disabili delle scuole medie e superiori si sono poi trovati a vivere in un paradosso. Con la decisione di diverse Regioni che hanno previsto la Dad per tutti gli alunni, consentendo la didattica in presenza solo per i disabili, sono di fatto ritornate le classi speciali. Una segregazione decisamente preoccupante.
Uno tenue spiraglio di buonsenso sembrerebbe essersi aperto in questi giorni, con l’autorizzazione del ministero dell’Istruzione al rientro in classe di alcuni compagni a piccoli gruppi per far sì che la scuola non diventi un luogo per ragazzi “speciali”. Ma è vitale ed urgente che quest’ultima riprenda a favorire relazioni affettive e scambi umani con i docenti e tra gli alunni; che non si trasformi in un luogo dove regnano l’ansia, la paura e i regolamenti astrusi; che possa seguire la sua vocazione, insomma, diventando un luogo privilegiato di crescita e condivisione.
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