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Immunità di gregge: un falso scientifico se applicata ai vaccini

| Noemi Zucchi |

Un’ipotesi mai verificata

La teoria dell’immunità di gregge venne per la prima volta proposta in uno studio del 1923 di W.W.C.Topley e G.S.Wilson intitolato “The Spread of Bacterial Infection. The Problem of Herd-Immunity” (https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC2167341/).
Venne poi più compiutamente ripresa nel 1933 da A.W.Hedrich nella sua ricerca sull’immunità conferita dal morbillo pubblicata sull’American Journal of Epidemiology (https://academic.oup.com/aje/article-abstract/17/3/613/144482?redirectedFrom=fulltext).

Dall’osservazione – abbastanza scontata – che, tanto maggiore è il numero di persone che risultano immuni ad un patogeno, tanto minore è la possibilità che esso circoli nella popolazione, Hedrich ipotizzò che, raggiunta una determinata soglia di individui immunizzati, nessuno possa più essere infettato: una volta arrivati alla cosiddetta “immunità di gregge”, si otterrebbe quello che è stato chiamato “effetto gregge”, vale a dire che anche coloro che non risultano immuni non potrebbero più ammalarsi proprio perché il patogeno smetterebbe di circolare e non sarebbe più in grado di attaccare quella popolazione.

Hedrich, in particolare, aveva teorizzato che le epidemie di morbillo si verificassero solo quando meno del 68% dei bambini aveva sviluppato un’immunità naturale dopo aver contratto la malattia. Successivamente corresse questa ipotesi e ritenne che fosse sufficiente una copertura del 55%.

Quando negli Stati Uniti si iniziò la campagna di vaccinazione di massa contro il morbillo, verso la metà degli anni Sessanta, il dipartimento di salute pubblica americano previde di vaccinare il 55% dell’intera popolazione, proprio in accordo con quanto affermato da Hedrich, e annunciò che si aspettava di eradicare il morbillo già a partire dal 1967.
Quando fu evidente che ciò non sarebbe accaduto, venne corretto il tiro e si parlò della necessità di una copertura vaccinale minima del 70-75% al fine di garantire l’immunità di gregge.

Quando anche questo aggiustamento si dimostrò insufficiente, i funzionari della sanità pubblica elevarono il tasso di copertura all’80%, poi all’83%, all’85%, al 90%.
Oggi si ritiene che, per ottenere un effetto gregge, il vaccino del morbillo debba essere somministrato al 95% della popolazione, ma non esistono studi che confermino questo dato, si è semplicemente proceduto ad innalzare via via la percentuale perché l’esperienza diceva che quella stabilita in precedenza non era sufficiente (https://academic.oup.com/epirev/article-abstract/15/2/265/440430?redirectedFrom=fulltext).

Fra l’altro, è noto che, anche in contesti in cui la copertura vaccinale è addirittura superiore (si parla anche del 99%), focolai di morbillo si sono comunque verificati (https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC3930734/).

Inutile sottolineare, visto che la millantata volontà di eradicare il morbillo è stata alla base della narrazione che ha consentito l’introduzione dell’obbligo vaccinale per i bambini nel 2017 con la Legge Lorenzin, che ad oggi il morbillo non è scomparso e periodicamente continuano a verificarsi epidemie.

Inapplicabilità dell’immunità di gregge ai vaccini

Secondo la teoria dell’immunità di gregge, la percentuale di persone che dovrebbero essere vaccinate per raggiungere la fatidica soglia critica oltre la quale il patogeno smette di circolare, dipende dalla contagiosità R0 di ogni singolo agente infettivo.
R0 è il numero di casi generati da un’unica persona infetta quando il resto della popolazione è suscettibile (cioè all’inizio di una nuova epidemia) e l’immunità di gregge si otterrebbe secondo il calcolo 1-1/R0: più un agente patogeno è intrinsecamente trasmissibile, maggiore è la percentuale di popolazione che deve essere vaccinata per determinarne l’eradicazione.

Malattie facilmente trasmissibili, come il morbillo, per cui si calcola che ogni individuo infetto sia in grado di contagiare dalle 12 alle 18 persone, hanno bisogno di una copertura molto ampia, per smettere di circolare, mentre patologie che hanno una contagiosità più bassa, come l’ebola che ha un R0 di 1,5/2,5, necessitano di una copertura inferiore.

Questa teoria presenta però due grossi limiti che ne rendono quasi impossibile l’applicazione in riferimento alle coperture vaccinali.

Innanzitutto – e questo vale a prescindere che si parli di immunità conferita dal vaccino oppure ottenuta dopo aver contratto naturalmente la malattia – la formula utilizzata per l’individuazione della soglia oltre la quale si verificherebbe l’immunità di gregge si basa su ipotesi semplicistiche: si dà per scontato che le popolazioni siano omogenee, senza differenze per età, gruppo sociale, che si mescolino secondo un criterio di casualità; così come non si considera che le epidemie possano avere un andamento stagionale, come l’influenza e anche lo stesso morbillo.

Soprattutto, però, non si tiene conto del fatto che vaccinato non significa immunizzato.
Da Hedrich in poi si è sempre dato per scontato che vaccinare un individuo significasse renderlo automaticamente immune ad una determinata patologia, e il calcolo dell’immunità di gregge si è sempre fatto pensando che la protezione conferita dalla vaccinazione sia identica a quella ottenuta attraverso la malattia contratta in modo naturale.

Non è così. Sappiamo molto bene che chi ha avuto il morbillo è sicuramente protetto e che lo è per tutta la vita.
Non si può dire lo stesso del vaccino: sottoporsi ad un vaccino può non implicare lo sviluppo dell’immunità (nessun vaccino è efficace al 100%), ma soprattutto questa immunità non dura tutta la vita.

A seconda dei vaccini, la protezione conferita può variare nel tempo. Si suppone che quello per il tetano andrebbe ripetuto ogni 10 anni, si calcola che quello della pertosse abbia una durata che va dai 2 ai 7 anni; fino a poco tempo fa si pensava che quello per il morbillo garantisse copertura per tutta la vita, ora si è orientati a pensare che non vada oltre i 10 anni.

La teoria dell’immunità di gregge, così come inizialmente formulata, si basava sull’immunità ottenuta in maniera naturale, e successivamente si è dato per scontato che quella dovuta al vaccino fosse esattamente sovrapponibile. Eppure è evidente che non è così. Ne consegue che parlare di immunità di gregge in riferimento alla copertura vaccinale è uno dei più grandi falsi scientifici della storia.

Immunità di gregge e Covid: una menzogna pericolosa

Per venire ai giorni e nostri, per quanto riguarda il Covid, esiste anche un altro importante limite: come accade anche per altre patologie (come ad esempio la pertosse o la difterite), il vaccino non è in grado di bloccare la circolazione del virus.
Persone che vengono vaccinate possono reinfettarsi e contagiare altre persone (ne abbiamo parlato diffusamente qui: https://www.movimento3v.it/io-non-mi-vaccino-perche/#3-perche-potrei-comunque-infettare-gli-altri e la cosa sembra ancor più evidente dopo alcuni mesi dall’inizio della campagna vaccinale di massa), per cui pensare di raggiungere l’immunità di gregge con i “vaccini” contro il Covid è oltremodo assurdo e antiscientifico.

Come al solito, la narrativa portata avanti da tutti i politici e dall’apparato propagandistico che i media mainstream forniscono loro, utilizza a sproposito teorie e concetti che, non solo non sono mai state dimostrati, ma non sono nemmeno lontanamente applicabili alla situazione attuale.

Cercare di convincere le persone che devono vaccinarsi “per il bene degli altri”, fare credere loro che stanno agendo “per il bene della collettività” – frasi che sentiamo ripetere ogni giorno – significa imbrogliarle, significa contare sul loro senso di colpa e su un senso civico che invece non ha ragione di esistere: vaccinarsi contro il Covid non serve a proteggere gli altri né a raggiungere alcuna fantomatica soglia, ma anzi consente al virus di continuare a circolare e probabilmente a creare varianti che immancabilmente “bucano” il vaccino stesso (https://www.movimento3v.it/io-non-mi-vaccino-perche/#4-perche-potrei-diffondere-varianti-piu-pericolose-del-virus).

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