Il Ministro Speranza ha annunciato di aver sottoscritto un accordo insieme a Francia, Olanda e Germania, per l’approvvigionamento complessivo di 400 milioni di dosi del vaccino anti-Covid ancora in fase sperimentale.
Nelle settimane scorse, medici che negli ultimi mesi sono stati in prima linea negli ospedali del Nord Italia hanno sottolineato come in Italia il virus sia ormai scomparso, dal punto di vista clinico, dal momento che in ospedale non arrivano più persone con manifestazioni gravi e le terapie intensive si stanno rapidamente svuotando (domenica 14 giugno, le persone ricoverate in tutta Italia in terapia intensiva erano 209, ai primi di aprile erano più di 4.000).
In questo senso si sono pronunciati il Professor Alberto Zangrillo, primario di Anestesia e Rianimazione presso l’ospedale San Raffaele di Milano, e il Dottor Matteo Bassetti, direttore della clinica di malattie infettive del San Martino di Genova, addirittura il Viceministro della Salute Pier Paolo Sileri ha detto espressamente di trovarsi d’accordo coi colleghi.
Del resto, a breve dovrebbe essere pubblicato sulla rivista Clinical chemistry and laboratory medicine lo studio coordinato dal Dottor Massimo Clementi, direttore del Laboratorio di Microbiologia e Virologia del San Raffaele, che ha permesso di stabilire che il virus ha perso la sua carica virale e ha ora una velocità di replicazione nettamente inferiore rispetto a marzo.
Che non sia così facile oggi contrarre la malattia è confermato anche dalle parole di Adrian Hill, direttore dello Jennifer Institute dell’Università di Oxford, che sta cercando di mettere a punto il vaccino ora opzionato dall’Italia e che a fine maggio ha ha rilasciato una dichiarazione eticamente aberrante, affermando di dover “sperare che il virus resti ancora per un po’” perché “se l’epidemia svanisce, non riusciremo a testarlo” (1).
Già nel 2003 gli studi sul vaccino contro la Sars, che ha una stretta parentela con il virus che provoca la malattia Covid-19, vennero interrotti perché nel frattempo la patologia divenne pressoché irrilevante. Benché si fosse arrivati alla sperimentazione sugli animali, si preferì non procedere perché non era più conveniente dal punto di vista economico farlo: sarebbero stati necessari investimenti corposi, ma, essendo la malattia praticamente scomparsa, nessuno lo ritenne vantaggioso, così un vaccino non venne mai trovato.
Andò meglio a chi riuscì a produrre il vaccino contro la cosiddetta “influenza suina” nel 2009. Dopo che l’Organizzazione Mondiale della Sanità, nel giugno di quell’anno, annunciò l’allarme pandemia per il virus influenzale A/H1N1, gli Stati furono spronati ad acquistare molti milioni di dosi di vaccino, che poi rimasero per lo più inutilizzate perché poche persone ritennero necessario vaccinarsi contro una malattia che colpì 1,6 milioni di persone in tutto il mondo causando complessivamente 18.000 decessi. L’allora Governo Berlusconi concluse un contratto di produzione con la Novartis, inizialmente tenuto segreto: firmato il 21 agosto 2009, prevedeva la fornitura di 24 milioni di dosi di vaccino, al costo di 184 milioni di euro, IVA inclusa. Le dosi effettivamente prodotte e consegnate furono poi 10 milioni, quelle utilizzate 900.000 (2). La questione destò molto scalpore, compresi un’interrogazione parlamentare e una tirata d’orecchi da parte della Conte dei Conti che aveva ritenuto il Governo colpevole di aver accettato clausole troppo favorevoli all’azienda produttrice (in particolare assenza di penali, acquisizione da parte del Ministero dei rischi in caso di danni da vaccino e risarcimento alla multinazionale per eventuali perdite).
Leggendo queste cifre è piuttosto semplice capire come mai oltre 100 case farmaceutiche sparse nel mondo, oggi, probabilmente a costo di accorciare le fasi sperimentali che dovrebbero richiedere anni, stiano facendo una vera e propria corsa per produrre il vaccino contro questo coronavirus prima che l’epidemia possa spegnersi da sola, come accaduto con Sars, cosa che renderebbe vani gli investimenti fin qui fatti e spegnerebbe sul nascere il sogno di lautissimi guadagni.
Il Ministro Speranza non ha comunicato a quanto ammonterà l’investimento per le dosi che dovrebbero essere disponibili già a settembre, ma sappiamo che gli Stati Uniti hanno per primi finanziato la medesima sperimentazione, quella di Astrazeneca, con 1,2 miliardi di dollari per potersi poi accaparrare 300 milioni di fiale in autunno (3). Ha senso pensare che gli Stati europei dovranno versare, per 100 milioni di dosi in più, una somma ancora maggiore.
Come se non bastasse, l’azienda con cui lo Stato italiano si è impegnato, Astrazeneca appunto, è assurta alle cronache diverse volte negli ultimi anni per motivi non esattamente lusinghieri: nel 2010 ha accettato una sanzione di 520 milioni di dollari per chiudere un procedimento legale per truffa (4); nel 2003 ha pagato 355 milioni di dollari dopo essere stata riconosciuta colpevole di aver indotto i medici a richiedere illegalmente la copertura dei costi relativi ad uno sei suoi farmaci anticancro e di aver corrotto molti medici per farlo acquistare (5).
In Italia, compare fra le aziende indagate dalla Procura di Bari nel 2006 nell’operazione denominata “Farmatruffa”: insieme ad altre 8 colossi farmaceutici, fu accusata di non aver adeguato i propri modelli organizzativi alle disposizioni di legge, non avendo messo in atto sistemi efficaci di autocontrollo tali da impedire o ridurre le possibilità dei propri dipendenti di compiere truffe e avendo prodotto un danno al nostro Sistema Sanitario nazionale di 20 milioni di euro. 7 di loro patteggiarono la pena versando complessivamente 7 milioni di euro allo Stato, e Astrazeneca fu fra esse (6). Nel 2010 alcuni membri del suo CdA furono invece condannati per concorso in bancarotta fraudolenta a pene fra i 2 anni e 6 mesi e i 3 anni (7).
È questa l’azienda a cui oggi affidiamo un ingente collocamento di risorse pubbliche, scommettendo sulla riuscita di una sperimentazione la cui utilità è messa in discussione da molti e di cui nessuno può prevedere il successo.
Mentre i lavoratori dipendenti aspettano la cassa integrazione, gli imprenditori devono sperare in “un atto d’amore” da parte delle banche, i liberi professionisti devono accontentarsi di pochi spiccioli, tante piccole aziende hanno dovuto chiudere, i bambini sono a casa da scuola da 4 mesi e per loro non viene fatto nessun investimento o programmazione, il Ministro Speranza impegna presumibilmente molti milioni di euro per foraggiare un colosso farmaceutico con gravi precedenti per truffa e corruzione senza avere la certezza che i vaccini promessi vengano prodotti, siano sicuri ed efficaci, o addirittura possano servire.
Ci chiediamo se abbia un senso tutto questo, e in particolare da chi siano guidate le scelte del Governo e quale sia il loro fine.
M3V è nato proprio perché la politica degli ultimi anni ha dimostrato di non avere a cuore il reale benessere dei cittadini. È contro tutto questo che sentiamo la necessità di rimettere la persona umana al centro delle scelte politiche del Paese.
Consigliere Nazionale M3V
Noemi Zucchi
(1) https://rep.repubblica.it/pwa/generale/2020/05/25/news
(2) https://www.repubblica.it/salute/medicina/2010/01/15/news
(3) https://www.pharmastar.it/news/business/vaccino-covid-19-astrazeneca-(4) https://abcnews.go.com/Politics/Health/astrazeneca-pay-520-million-illegally-marketing
(5) https://books.google.it/books
(6) https://bari.repubblica.it/dettaglio/la-grande-truffa-al-servizio-sanitario
(7) https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2019/02/27/scaricarono-mille-lavoratori-su-una-bad-company
Mi chiamo Noemi, vivo in Romagna, sono laureata in Scienze della Comunicazione. Da anni sono attivista per la libera scelta vaccinale: sono presidente dal 2017 di “Libero x tutti”, un comitato di cittadini di Forlì, e referente del coordinamento regionale Libera Scelta Emilia Romagna.
Sono nel Consiglio Nazionale di M3V, per il quale mi occupo dei rapporti con la stampa, perché ritengo che serva una politica diversa, incentrata sul benessere delle persone, per cambiare le sorti del nostro Paese.
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